giovedì 26 maggio 2016

Che cos’è la realtà?

Vi parlerò di alcuni dei problemi filosofici della fisica di base in quanto si riferiscono alla meccanica quantistica e alla questione della realtà. La meccanica quantistica rappresenta una teoria fisica nuova estremamente importante, che ha cambiato la nostra visione del mondo e la nostra visione della realtà fisica. Cercherò di spiegare in un modo più semplice che cosa significa realmente tale cambiamento. Prima della meccanica quantistica noi conoscevamo la fisica e come sapevamo, si basava sulla legge del movimento di Newton e quella che è stata chiamata la fisica classica.
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mercoledì 25 maggio 2016

Mostra di Elio Corrao a Marineo


L’angolo di Gilbert K. Chesterton – Grandezza e attualità di uno scrittore cattolico –

di Fabio Trevisan

Sembra incredibile che Chesterton avesse predetto nel 1923 (come richiamato nella frase in corsivo) e precisamente nel saggio: “San Francesco d’Assisi” una simile osservazione, sempre più palesemente rilevante ai nostri giorni. Molto prima della rivoluzione sessuale o dei costumi del 1968 e delle cosiddette battaglie femministe per l’emancipazione della donna, lo scrittore londinese aveva intravisto questa reale sottomissione alla schiavitù sessuale sotto diverse forme (pornografia dilagante, rivendicazioni sessuali stravaganti e contronatura, un’intera cultura mediatica piegata alle provocazioni sensuali). Per Chesterton: “Trattare il sesso come un innocente fatto naturale, ebbe per conseguenza che tutte le altre cose naturali si permearono profondamente di sesso”. Non si poteva infatti, secondo il grande scrittore cattolico inglese, assimilare il sesso ad altre abitudini elementari come il mangiare o il dormire: “Il fatto è che il sesso occupa un posto pericoloso ed eccessivo nella natura umana; per cui richiede un approccio particolarmente casto”. Sarebbe stato paradossalmente proprio con San Francesco che si sarebbero potuto mettere a posto le cose, ma purtroppo era prevalsa e tuttora prevale un’interpretazione erronea del Santo.
La religione di San Francesco d’Assisi non era affatto (e qui sta il paradosso) una religione naturalistica, ma anzi era una religione che avrebbe dovuto liberare dall’ossessione della venerazione della natura: “Non sarebbe servito predicare il culto della natura a gente per cui la natura era diventata innaturale… Non c’era più un fiore o una stella che non fossero contaminati. Soltanto il rigore del soprannaturale poteva ergersi a baluardo della salvezza”. Credo che sia superfluo sottolineare, per chi ancora conserva un barlume di ragione, la stupefacente attualità di tali riflessioni e ciò che Chesterton chiamava il “paradosso dei Santi”. Chesterton rimarcava questo peso eccessivo riguardo il sesso e ne indicava la deriva culturale e morale ed il bisogno di espiazione: “Per liberarsi da questa ossessione occorreva una religione che fosse letteralmente ultraterrena…questo malanno non passa che con la preghiera e con il digiuno”. L’importanza di San Francesco d’Assisi consisteva quindi nell’ aver segnato la fine di questo periodo d’espiazione a seguito di una profanazione della natura:“I fiori e le stelle hanno recuperato la loro primitiva innocenza. Il fuoco e l’acqua sono considerati degni di essere il fratello e la sorella di un santo. La purificazione dal paganesimo è finalmente giunta al termine”.
Era l’esaltazione di una natura purificata, di un approccio casto e divino riguardo il sesso, di una ricomprensione della bellezza del creato: questa avrebbe dovuto essere l’autentica liberazione dell’uomo! Esattamente il contrario di quanto avvenuto, dove il vero San Francesco è stato obliato così come il nostro Chesterton è stato accantonato dalla cultura dominante (ed anche, diciamola francamente, da quella cattolica). Come indicava il saggista di Beaconsfield, San Francesco era ancora in attesa di una riconciliazione con l’uomo, di una comprensione autentica della sua filosofia soprannaturale; la vera “liberazione”, secondo Chesterton, stava in quest’ultima saggia frase che egli sottoponeva a quella modernità impazzita che aveva stravolto l’interpretazione del Santo: “Con San Francesco l’uomo si è strappato dall’anima l’ultimo brandello di culto della natura e può tornare alla natura”. Aveva liberato l’uomo dal paganesimo e da quelle ossessioni (tra cui il sesso) di cui era permeato; si poteva ritornare ad un mondo purificato e ad ammirare e contemplare Dio e il creato.
Senza questa visione soprannaturale tutto, compreso il sesso, diventava nostro tiranno. L’amore di Dio e la salvezza dell’anima erano poste dal Santo d’Assisi sopra a tutto:“Laudato sii, mi Signore, per sora nostra Morte corporale”. Il corpo alla terra, l’anima a Dio.

martedì 17 maggio 2016

13^ Marcia per la Vita e la Famiglia a Palermo

di Francesco Paolo Pasanisi

Il 14 maggio si è tenuta, come di consueto, la marcia per la vita e la famiglia. In quanto la famiglia è il centro naturale della vita umana e della società. Con questo evento si ricorda e si chiede a tutti di rispettare il diritto inalienabile alla vita. La vita che va protetta in tutte le sue fasi. La giornata è stata piena di luce e di sole. Alla marcia hanno partecipato circa 6.000 persone. Il corteo è partito da Piazza Croci ed ha attraversato le vie della Libertà, Piazza Politeama, via Ruggero Settimo, per concludersi a Piazza Verdi al Teatro Massimo.
L’avvenimento è stato seguito con interesse e curiosità dai cittadini, numerosissimi per le strade di sabato pomeriggio. Prima dell’avvio della dimostrazione i partecipanti hanno ascoltato delle testimonianze sull’argomento per la promozione della vita e l’affermazione dei valori della famiglia.
Sono intervenuti: Don Fortunato Di Noto, Presidente dell’Associazione Meter, giunto a Palermo dopo tre ore di viaggio. Il Pastore della Chiesa Pentacostale “Parole della Grazia”. Infine Massimo Gandolfini, portavoce del comitato “Difendiamo i Nostri Figli” e organizzatore del Family Day del 30 gennaio a Roma. Boom di adesioni da parte delle associazioni laiche e di ispirazione religiosa.
Hanno preso parte 93 comunità e aggregazioni sociali spinte tutte dagli stessi intenti. Fra queste ne ricordo alcune: Società Domani, Il Movimento per la Vita, La Milizia dell’Immacolata, Agon, Guide e Scouts San Benedetto, Voglio Vivere, Erripa A. Grandi, Alleanza Cattolica, Forum delle Associazioni Familiari, CAV, Famiglie Numerose, l’Istituto Siciliano Studi Politici ed Economici, GRE e numerosi gruppi evangelici aderenti all’Alleanza Evangelica Italiana.
Sostegno ai partecipanti è arrivato dal mondo civile ed ecclesiastico, in particolar modo da papa Francesco, che ha impartito la benedizione. Diversi i sacerdoti e le religiose con i pastori evangelici che hanno partecipato all’evento.

Le marce che si sono svolte nel 2016 nel mondo sono state numerose e partecipate ed altre sono previste nel corso di questi mesi. Le principali che si sono tenute sono: a Washington , 43^ edizione, San Francisco, Brisbane in Australia, Praga, Bruxelles, Varsavia, Perù, a Roma per la sesta volta, Stettino, Bratislavia, L’Aia, Dublino, Berlino, Zurigo, Ottawa e Lisbona nello stesso giorno di Palermo.
La marcia di Palermo, in Italia, è stata la prima in assoluto,  poi se ne svolgono altre dello stesso tenore in diverse città.

Subito dopo si è tenuta la celebrazione eucaristica nella chiesa di S. Ignazio all’Olivella. Il Movimento Cristiani per la Nazione ha organizzato la “Festa della Famiglia” con mimiche e canti in linea con la Festa Internazionale voluta dall’ONU sempre per il 15 maggio.

lunedì 9 maggio 2016

L’età e le dimensioni dell’Universo non sono un’obiezione a Dio, anzi!

L’Universo é apparso miliardi di anni fa e l’esistenza umana sembra davvero un semplice blip sul calendario cosmico, esistono un gran numero di galassie, enormi quantità di stelle, pianeti e altre entità astronomiche, la terra stessa ha miliardi di anni eppure gli esseri umani hanno iniziato ad esistere solo da un periodo relativamente recente di tempo.
Queste evidenze scientifiche sono statisticamente le più trattate dalle persone di fede atea quando giustificano la loro posizione esistenziale. Eppure, è proprio attraverso la ricerca scientifica che si può replicare: John Barrow e Frank Tipler, nel loro capolavoro intitolato “Il principio antropico” (Adelphi 2002), hanno ben spiegato che ledimensioni e l’età dell’Universo sono proprio ciò che dovremmo aspettarci di osservare. Infatti, un universo corrispondente a dati differenti sarebbe rimasto vuoto e disabitato poiché in un tempo più breve di 15 miliardi di anni gli elementi pesanti (ossigeno e carbonio), indispensabili sia per la costituzione della terra che per i composti organici di cui è fatta la materia vivente, non avrebbero avuto il tempo e lo spazio necessari per formarsi in quantità sufficiente nelle nucleo-sintesi stellari.
Come ha scritto Owen Gingerich, docente di Astronomia e Storia della scienza all’Università di Harvard, «invece di denunciare il carattere marginale e assolutamente effimero dell’umanità all’interno di un universo immenso e antichissimo, bisognerebbe spiegare che in un universo più piccolo e più giovane la nostra comparsa non sarebbe stata possibile, dal momento che non vi sarebbe stato il tempo per “cuocere” a fuoco lento gli elementi necessari alla vita» (O. Gingerich, “Cercando Dio nell’Universo”, Lindau 2007, p.17).
Questa spiegazione, com’è comprensibile, fa sorgere una seconda domanda: perchéDio ha scelto un tale universo piuttosto che produrre miracolosamente le stelle e i pianeti, l’uomo e la natura in un solo attimo? Qui si esce dal campo scientifico e si chiede di entrare nella mente di Dio, è comunque possibile rispondere come ha fatto il filosofo William Lane Craig, della Talbot School of Theology di Los Angeles, osservando che probabilmente il Creatore ha voluto appositamente creare un passato non illusorio al nostro mondo. Si potrebbe anche aggiungere che un universo sorto improvvisamente, già formato, senza una sua naturale evoluzione, avrebbe irrimediabilmente compromesso la libertà degli esseri viventi, costretti e forzati a credere in Lui. Quale Padre sarebbe soddisfatto se costringesse il figlio ad amarlo? Senza la libertà di riconoscere o meno Dio, il Creatore avrebbe forgiato un burattino, non un uomo.
Per questo il noto fisico inglese Paul Davies ha commentato: «Secondo la mia opinione e quella di un crescente numero di scienziati, la scoperta che la vita e l’intelletto sono emersi come parte dell’esecuzione naturale delle leggi dell’universo è una forte prova della presenza di uno scopo più profondo nell’esistenza fisica. Invocare un miracolo per spiegare la vita è esattamente quello di cui non c’è bisogno per avere la prova di uno scopo divino nell’universo» (P. Davies, Conferenza pronunciata a Filadelfia su invito della John Templeton Foundation e diffusa da Meta List on “Science and Religion”).
A chi denuncia la poca efficienza di un tale universo, osservando lo spreco di spazio e di tempo, bisognerebbe ricordare -come ha fatto giustamente il già citato filosofo americano- che l’efficienza è un valore solo per chi ha un tempo e/o risorse limitate, una condizione che è inapplicabile a Dio. Egli va considerato piuttosto come un artista, «che spruzza la sua tela cosmica di colori abbaglianti e creazioni. La vastità e la bellezza dell’universo mi parlano della maestosa grandezza di Dio e della sua meravigliosa condiscendenza nell’amare e nel prendersi cura di noi». Effettivamente è soltanto osservando un Universo del genere -finemente sintonizzato alla comparsa della vita e dominato dall’ordine, non dal caos- che può sorgere lo stupore e l’umiltà dell’uomo, che porta a dire: «Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate, che cosa è l’uomo perché te ne ricordi e il figlio dell’uomo perché te ne curi?» (Salmo 8).
E’ soltanto osservando il nostro Universo che Albert Einstein può affermare: «Noi siamo nella situazione di un bambino che è entrato in una immensa bibliotecapiena di libri scritti in molte lingue. Il bambino sa che qualcuno deve aver scritto quei libri, ma non sa come e non conosce le lingue in cui sono stati scritti. Sospetta però che vi sia un misterioso ordine nella disposizione dei volumi, ma non sa quale sia. Questa mi sembra la situazione dell’essere umano, anche il più intelligente, di fronte a Dio. La convinzione profondamente appassionante della presenza di un superiore potere razionale, che si rivela nell’incomprensibile universo, fonda la mia idea su Dio» (citato in Isaacson, “Einstein: His Life and Universe”, Simon e Schuster, pag. 27). Un Universo differente, non avrebbe fatto volgere al cielo gli occhi del pastore errante dell’Asia, descritto da Leopardi, nessuno avrebbe sentito la sproporzione della sua finitezza con l’immensità dell’Universo di cui è parte, chiedendosi il significato di questo e che senso abbia lui stesso, la sua stessa esistenza. Nessuno, per concludere, avrebbe colto la domanda infinita di senso che abita noi, esseri finiti.
Bisogna quindi smentire l’idea che la vastità dello spazio e l’età dell’Universo siano una valida obiezione a Dio. E’ proprio vero il contrario, come ha spiegato il celebre evoluzionista Kenneth R. Miller, docente di Biologia presso la Brown University: «il nostro mondo è infinitamente più vasto, più complesso, più vario e creativo di quanto avessimo mai creduto prima, in un certo senso questo approfondisce la nostra fede e il nostro apprezzamento per l’Autore di tale opera, l’autore di questo universo fisico».

domenica 8 maggio 2016

Ralph McInerny, il Chesterton d’America

di Matteo Carletti

Il febbraio di sei anni fa ci lasciava uno dei più importanti filosofi cattolici del ventesimo secolo, Ralph McInerny. Purtroppo solo poche delle sue opere sono state tradotte in Italia, e tra le quali mi piace ricordare “Vaticano II. Che cosa andato storto?” e “L’Analogia in San Tommaso”, a cura di Fulvio di Blasi, amico e collega del filosofo americano. Grande studioso di San Tommaso d’Aquino ha realizzato anche una storia della filosofia (in tre volumi) mai tradotta in italiano. È però noto al grande pubblico, in particolare negli Stati Uniti, oltre che per una serie di opere divulgative su San Tommaso d’Aquino, per la sua intensa attività di romanziere (ha pubblicato ventotto romanzi) che hanno come protagonista Padre Dowling, un parroco dell’Arcidiocesi di Chicago regolarmente coinvolto in vicende criminali che risolve con capacità deduttive degne dei migliori detective privati. E come un altro grande “inventore” di personaggi del giallo come Chesterton (padre della fortunata saga di Padre Brown), il filosofo americano ha avuto più fortuna come romanziere che come studioso di filosofia. Ma come Chesterton, anche McInerny, ha saputo cogliere, nel suo linguaggio puntuale ma incisivo, le questioni filosofiche e religiose più grandi del nostro tempo e di sempre.
In questo spazio mi piace ricordarlo con una recensione che feci per il suo volume “Conoscenza morale implicita”, pubblicato per la Rubettino nel 2006, che raccoglie la trascrizione di una lezione da lui tenuta il 20 luglio 2004 a Palermo presso l’associazione “Thomas International”.
Il testo, con originale inglese a fronte, pretende di indagare la questione del livello “pre-filosofico” che tutti gli uomini condividono, e attraverso cui tutti, filosofi e uomini comuni, hanno la possibilità di trovare le risposte alle grandi domande poiché la nostra mente opera in base alle stesse verità fondamentali sul mondo e sulle nostre azioni. “Queste verità fondamentali, come ricorda Fulvio di Blasi, sono l’inizio della vera sapienza”.
Ciò da cui muove il filosofo e scrittore statunitense è l’idea che la morale, intesa in senso aristotelico-tomistico, sia qualcosa di innato, di implicito nell’intelletto umano, quasi che ciascuno di noi possieda l’inevitabile conoscenza “di quel che si deve o non si deve fare”(p.20). Anche se ad una prima, e forse superficiale analisi, può sembrare che i giudizi morali differiscano gli uni dagli altri e che in sostanza non è dato determinare quale che sia il migliore o il peggiore, quando si parla di Legge Naturale questa, per così dire, deriva relativistica dei valori, viene decisamente superata. Perché o la Legge Naturale è, come la definiva Tommaso d’Aquino, il modo specificatamente umano di partecipare alla legge eterna, i primi e indiscutibili principi del pensiero pratico, o non è. Nessuno di noi produce, all’interno di questa riflessione, giudizi morali fondamentali, poiché essi sono già posti e non resta a noi che il compito di tradurli, di dischiuderli, di riflettere su ciò che in realtà già possediamo. La “spiegazione” della Legge Naturale “può appartenere a qualcuno, e perfino portare il suo nome; ma la spiegazione riguarda qualcosa che è di dominio pubblico” (p.22). McInerny vuole con ciò intendere che tale riflessione può essere elaborata da chiunque poiché tutti possiedono tale capacità. Ricorda come anche lo stesso Giovanni Paolo II nella sua importante enciclica Fede e Ragione, sostiene che non solo sono comuni le domande, ma anche le risposte, ovvero ci troviamo di fronte ad una “Filosofia Implicita” che tutti non possono che condividere. “In questo senso è possibile riconoscere, nonostante il mutare dei tempi e i progressi del sapere, un nucleo di conoscenze filosofiche la cui presenza è costante nella storia del pensiero. […] Queste conoscenze, proprio perché condivise in qualche misura da tutti, dovrebbero costituire come un punto di riferimento delle diverse scuole filosofiche. Quando la ragione riesce a intuire e a formulare i principi primi e universali dell’essere e a far correttamente scaturire da questi conclusioni coerenti di ordine logico e deontologico, allora può dirsi una ragione retta o, come la chiamavano gli antichi, orthòs logos, recta ratio” (Fides et Ratio, 4).
Per poter dimostrare quindi tale analisi è necessario partire dalla teoria della conoscenza e procedere poi per analogia in ambito pratico. Come per Platone nel Menone imparare è già un ricordare, così anche per Aristotele la conoscenza avviene per dimostrazione, che però deve poggiare ultimamente su proposizioni vere evidenti, cioè eterne e non dimostrabili a sua volta. Ne scaturirebbe altrimenti un procedimento all’infinito. Quindi Aristotele, superando lo stesso Platone, non si accontenta nel dire che il sapere è come un morire, poiché la nostra anima già ha contemplato le verità eterne e non resta che nella nostra vita terrena il compito di recuperare tale conoscenza perduta. Egli procede per un elaborata via dimostrativa in cui le prove dimostrative di conclusioni dipendono da principi che non sono conosciuti in questo modo (cioè per via dimostrativa), ma a partire da verità in se stesse, per se. Questo ragionamento è ripreso, non a caso, da Tommaso nella Summa theologiae in cui vengono ulteriormente chiariti i primi principi indiscutibili del ragionamento pratico. “Noi pensiamo o termini semplici o la combinazione di essi in giudizi e proposizioni. L’argomentare o il discorso – la derivazione di una verità da altre conosciute – presuppone, in ultima analisi, verità che sono evidenti, altrimenti ci sarebbe un regresso infinito” (p. 30). Questo ordine di ragionamento, se vale per la conoscenza dell’essere, deve valere anche per l’ordine pratico. “Chi potrebbe evitare di conoscere il bene? Il bene è ciò che si desidera, ciò che soddisfa un bisogno, che migliora o realizza, che perfeziona”. (p. 30) E’ evidente che, stando così le cose, il bene debba essere fatto e perseguito e il male evitato.
Quindi in ambito morale per McInerny più che chiederci se essere platonici anziché aristotelici, ci si deve domandare se non sia già è un’evidenza il fatto di riconoscere, in un’analisi di un qualche principio morale generale, il fatto che ci sentiamo inclini a dire che già conoscevamo tale principio. E’ chiaro che per ammettere ciò devo prendere come seria l’analogia tomista fra ordine teoretico e ordine pratico. Se ciò che vale come evidente per l’essere deve esserlo anche per la morale. Va chiarito quindi il primo principio da cui partire, primo non nel senso della prima comprensione che un soggetto ha dalla nascita, ma come implicito in qualsiasi giudizio si possa esprimere. In ambito conoscitivo esso va ricercato nel principio di non contraddizione per cui qualcosa non può essere e non essere allo stesso tempo e sotto lo stesso aspetto. Questa è una verità implicita nel pensiero e nel linguaggio perché prima lo è nella realtà alla quale i due termini rimandano. “Ciò che contraddistingue un principio è l’essere incorporato o implicito in altri giudizi, e ciò che contraddistingue un primo principio è l’essere incorporato n tutti i giudizi” (p.34). Quindi per formulare tali giudizi devo necessariamente avere una base sensoriale da cui partire che fornisca le basi per la formazione di idee che sono i termini dei giudizi. Ne consegue che la conoscenza intellettuale presuppone l’esperienza sensibile, fermo restando che c’è in “primo” in entrambe. Anche se io posso, nell’esperienza sensibile, conoscere per “primo” qualsiasi cosa, esso non sarà che un “ente”, e tutto ciò che ad esso posso riferire come verità non sarà ad esso circoscritto, altrimenti niente potrebbe essere conosciuto come vero o falso. Questa potenza o capacità di conoscere è quindi ciò che ci definisce, ma come passare al piano pratico? Per McInerny nel caso dei giudizi pratici, sul cosa debba essere fatto, abbiamo una situazione analoga. È evidente che per bene tutti noi intendiamo qualcosa che è necessario al nostro benessere e come tale va perseguito e, prima ancora, desiderato. “Dire che qualcosa è buona significa presentarla come desiderabile, e non c’è quasi bisogno di dire che per desiderabile qui s’intende non solo ciò che può essere desiderato ma ciò che va desiderato” (p. 40).
È la conquista della regola d’oro, “fai il bene, evita il male”. Ma la regola d’oro basta a contenere la moltitudine dei precetti morali? Se questi ultimi possono (e di fatto vengono) messi in discussione come posso parlare ancora di Legge Morale Naturale? Se si fa riferimento all’educazione che ogni persona riceve si dall’infanzia ci si rende conto come la conoscenza morale è racchiusa nelle pratiche della nostra educazione, in quello che i genitori, chi più chi meno, hanno ritenuto opportuno indicare ai propri figli. Come spesso accade in tutti i precetti, gli ammonimenti prudenziali, è racchiusa la regola d’oro. Ma la cosa meno ovvia all’intelletto è che i genitori non ci danno la capacità di cogliere le verità morali, bensì si appellano ad essa come a qualcosa che noi già possediamo e che si manifesta gradualmente nel corso della crescita. Senza questa pre-comprensione della morale non sarebbe possibile nessuna conoscenza pratica di comportamento, come accade analogamente per le pre-comprensioni cognitive relative alla conoscenza intellettuale. “E’ così che impariamo la morale. Siamo nati con la capacità, e attiviamo sotto la guida dei nostri genitori, con i principi fondamentali impliciti nei richiamo che ci rivolgono” (p. 42). Negare i precetti della legge naturale, ovvero una conoscenza morale implicita, equivale a negare, nel campo conoscitivo, il principio di non contraddizione, il che renderebbe inconoscibile la realtà.
Gli insegnamenti umani, per dirla con Tommaso, non sono, quindi la causa primaria dell’apprendimento. Essi presuppongono qualcosa che già ci è dato. Questo qualcosa, sia che usiamo gli argomenti del mito della caverna di Platone o dell’intelletto agente di Aristotele, costituiscono il segno distintivo della persona. Sia che esso provenga da una vita dell’anima precedente o sia una capacità innata o costituisca la natura umana, nel dibattito “tutte queste discussioni puntano a qualcosa chi si trova già lì” (p. 46).